ERIKA DAGNINO QUARTET
With RAS MOSHE/KEN FILIANO/JOHN
PIETARO
Signs (Slam 546; UK 2013)
Erika Dagnino poetry, voice
Ras Moshe flute, soprano sax, tenor sax
Ken Filiano doublebass, effects
John Pietaro vibraphone, glockenspiel, snare drum,
tom-tom,
various bells,
suspended cymbals, triangle, wind chimes, shaker
Le mie tredici
puntate del jazz, purtroppo, non contemplavano il "reading": la specificità della figura non permetteva di delinearne
un quadro sufficientemente ampio. La Dagnino ha dovuto dividere la sua carriera tra la Liguria e gli Stati Uniti, dove a New York,
ha trovato
un terreno fertile per questa sperimentazione portata in auge da Amiri Baraka e la beat generation.
Ma Erika ne incarna una visione diversa sia a livello poetico che musicale; il suo reading in doppia lingua (italiano ed inglese) ha un
carattere poetico molto forte, inaudito, figlio della letteratura contemporanea, mentre dal punto di vista musicale la Dagnino sposa
le free improvisation, che è impostata per cercare di trovare analogie ed equivalenze con il canale poetico. Il suo ultimo cd
"Signs" del 2013, in cui partecipano un trio di splendidi musicisti jazz (Ken Filiano al cb, Ras Moshe ai fiati, John Pietaro al vibrafono
e percussioni) pone all'ascoltatore attento un duplice problema, quello di valutare prosa e musica, e se dal primo punto di vista non
sono la persona giusta per dare un giudizio, per ciò che concerne il secondo le idee che mi sovvengono sono quelle che il tormento
vocale inglese rende meglio di quell'italiano (non siamo affatto distanti in tal senso dall'animosità dei readings di Patti Smith al netto
della musica), e che la base musicale improvvisata è un prezioso bacino idrografico per le invettive poetiche della Dagnino, perché vi
porta nella riflessione in subconscio, e permette di apprezzare concetti nati strutturalmente quasi cinquant'anni fa e non ancora
domi. Ma a prescindere dalla validità della proposta c'è un grazie che dobbiamo tributare alla Dagnino e cioè quello di aver
contribuito a sostenere, con la sola forza dell'arte, tutta quella elitaria pattuglia di artisti (musicisti e al tempo stesso poeti od artisti
collegati alle arti visuali) che da sempre crede che non ci siano regni oggettivi nella musica o nelle arti in generale, ma tutto è subordinato
al valore che si riesce ad infondere alla propria espressione. A noi basta solo carpirlo. Invero un paradosso, oggi, per le forme meno
comprensibili che sono soggiogate dalla pubblica considerazione dell'essere inattuali.
Ettore Garzia, Percorsi Musicali, ottobre 2014, Italy
Many people know Erika Dagnino as a poet and a
writer, but she is also recognized in many circles for her collaborations with
musicians.
Signs is a collection
of well-crafted poems, set to music that has plenty of room for improvisation. The opening track, “Preludio,”
begins with a powerful blues feeling before slowly sliding
into an esoteric, free exploration. The musicians, and more importantly their
instrumentation, set the mood for
Dagnino’s voice. The pairing of her voice with vibraphone accompaniment creates a nice, complimentary temperament
before the other instruments swarm in. The music runs the gamut from sassy to serious and the instrumentalists’
accompaniment
ranges from thunderous
to hymnlike. Filiano’s technical strength really shines through on “Quinta Improvvisazione.” The listener will get
a larger
benefit from Dagnino’s poems by reading them in the liner notes as well as hearing them on the
recording.
It is
easy to be swept into the emotionally charged reading of the poems and forget about the care she took in writing
the meaningful text.
Dustin
Mallory, Cadence Magazine, April May June 2014
The album is beautifully recorded and all participants deliver a commanding and haunted performance, an exceptionally gratifying experience. Given the nature of this artwork, I have heard nothing so good, so exciting, since Meredith Monk in the 70s and 80s.
Ken Cheetham, Jazzviews, February 2014
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“il rapporto fra suono, voce e parola (non solo cantata) è centrale nella
storia del jazz”.....in questo specifico ambito la Dagnino ricopre un ruolo di assoluta centralità.
G. Gatto, onlinejazznet, febbraio 2014
Una lucida e determinata urgenza, quella che anima “Signs”.
Opera che bissa ed espande, quanto di buono espresso dall'italiana Erika Dagnino, nel precedente (ottimo),
“Narcéte”.
Dove il talento poetico dell'autrice, in quel di Brooklyn nel Novembre 2012, s'organizza e aziona, per una bollente performance in formula a quattro.
Con voce bella, forte e chiara (come l'ha definita Peter Brötzmann), che in questa occasione pare si carichi di oscurità compressa.
Un impatto testuale asciutto e intransigente, che si sviluppa in riuscita modalità bilingue (italiano/inglese), mentre Ras Moshe, Ken Filiano e John
Pietaro, sminuzzano febbri afroamericane e ruggini avant. Immagini astratte, d'una natura aspra e squassata dal vento, dove il fattore tempo, è fonte d'angoscia sol per noi, di pelle e ossa.
Di spigoli nei fianchi, a ricordarne odori e colori, mentre la si osserva e ricorda, stretti fra pareti di
cemento. Fiati, corde, legni e metalli, in urlante comunione impro. Di grumi, di grigi, di rosso e di pietra.
Attrito e calore.
Marco
Carcasi, Kathodik, December 2013
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Dagnino desenvolve uma abordagem muito
própria, utilizando a voz e as palavras como um instrumento que interage em igualdade de
circunstâncias com os outros. Acompanham-na o saxofonista Ras Moshe, o já mencionado Filiano
(bem conhecido dos melómanos portugueses, sobretudo por via das suas várias gravações para a Clean
Feed) e o percussionista John Pietaro.
Apesar dos seus versos estarem escritos (em italiano e em inglês), incorporam-se particularmente bem num contexto de
improvisação, com os
discursos musicais a contribuírem para acentuar a intensidade das
palavras, tantas vezes de uma solidão crua e torturada («Saliva, eye, larva /
Upward footprint of clouds. / Downward wounded footprints. / Saliva,
puddle, dream. / Downward stripped feet / Upward nailed feet. / From
bit to bit branches. / From bit to bit the seam splinters / Saliva. Eye. Larva. / Saliva. /
Puddle. / Dream.»).
Antònio Branco,
jazz.pt, November 2013
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...This is the music dreams are made of...
Dick
Metcalf, Rotkojazz
November 2013, HI
Signs ci porta in un clima espressivo denso, dove la voce recitante è al
servizio di tematiche ribollenti, sempre seguite con sensibilità dal trio che
accompagna la Dagnino, autrice dei testi. Nulla mi sembra riassumere meglio
questo lavoro di quanto ha scritto Marco Buttafuoco, commentandolo: 'La voce e
i versi della Dagnino sono parte essenziale di un ardente e radicale percorso
di improvvisazione.'. La musica e la parola si compenetrano a fondo, evitando
quel doppio piano che spesso inficia l'arte di questo tipo dove la poesia
viaggia su un binario e le note sull'altro. Quando, come in questo caso, si
incontrano sullo stesso terreno, qualcosa accade, è destinato ad accadere.
Franco
Bergoglio, MagazzinoJazz, October 2013
Italian poet Erika Dagnino runs a transatlantic- bilingual career. In Europe
she works with avant-garde and free jazz musicians as Italian violinist Stefano
Pastor. In the States she recorded with avant-garde composer and pianist Chris Brown and leads her own New-York based free jazz quartet comprised of
reed player Ras Moshe, double bassist Ken Filiano and percussionist John
Pietaro.
The setting of fiery free jazz fits the uncompromising temper of Dagnino's
poetry and her bilingual delivery of lines, first in Italian, than reprised in
English. As if only the intense and rough emotional turmoil of free jazz discourse and the musical flexibility of seasoned improvisers can envelope
Dagnino's unsettling tales of fever, wounds and dry solitude. Her somber, almost militant reciting is part of the free-flowing musical
texture, balancing
the interplay, contributing to the suspense and leaving enough room for improvisations that add emotional depth to the suggestive spoken
words. Dagnino poems attempt to encompass momentary experiences of fleeting natural
scenes, acknowledging its passing, the passing of time, of life. The
chamber,
free improvisation mirror these dark visions as both are sonic utterances of
the moment. This bleak ambiance is best captured on "Terza Improvvisazione" and
"Quinta Improvvisazione," with the recognition that: "Upward footprints of
clouds. Downward wounded footprints...," abstracted with dissonant electronic
sounds, fractured rhythms and tensed bowing on the double bass on the
former, and a powerful, possessed performance on the latter by the quartet.
Dagnino poetry and music demand careful listening before the multifaceted images and sounds are
grasped. Still this is a highly rewarding experience.
Eyal
Hareuveni, All About Jazz, USA, September 2013
Featuring Erika Dagnino on poetry & voice, Ras
Moshe on flute and saxes, John Pietaro on vibes and percussion and Ken
Filiano on double bass. Italian poet and teacher, Erika Dagnino, has
played at DMG on several occasions and always chooses good musicians to
work with. The last time she played here a few months ago she was backed
by Red Microphone, two of whom (Moshe & Pietaro) are on this disc.
This is a studio recording and the sound is warm and well-balanced.
Whenever I've read Ms. Dagnino's poetry printed on the pages of CD
booklets, I am impressed. The poems on this disc are printed in both
Italian and English. The first track is all instrumental, free and mellow
and sets the pace of things to come. Ms. Dagnino recites her words in
Italian in a calm yet expressive voice. The sound of her voice and the
words blend well with the somber, free-flowing and quietly unsettling
music. Even without knowing what the words mean, a certain vibe is still
apparent. In the second half of this piece, Erika recites in English so I
have to listen more intently to hear what she is describing. It is rare
for a poet to recite in two different languages within the same setting
but it works well here. I like the music here since the balance and choice
of instruments sounds carefully selected. The blend of tenor sax or flute,
plucked or bowed bass and vibes or small percussion is consistently
inspired and never overdone. The balance between the spoken word sections
and instrumental passages is superbly balanced giving us a chance to
consider the words more thoughtfully. There is a section of "Terza
Improvvisazione" where the words and music are both filled with
suspense and mystery as if Erika is describing a rather disturbing dream.
There is just enough breathing space here to allow us to recover from the
occasionally dark moments which appear at unexpected intervals.
Bruce Lee
Gallanter, Downtown Music Gallery, New York , USA 2013
The art of poetry and the music together for some time flirt with interesting
results often. Sometimes it is the poetry that undergoes major transformation
mutating in the verses of a pop song, or as here, retains its identity and the
verses are recited with fervor in the midst of the musicians'
improvisations.
Erika Dagnino not find some time. The poet writes Genoese long imaginative
texts that tell of feelings in words that run stories in new ways to describe
the performance of which is unpredictable. To accompany her in a club in New
York there are three improvisers: the saxophonist and flutist Ras Moshe , Ken
Filiano on bass and percussionist and vibraphonist John Pietaro . Europe lacks
a real interest in these forms of improvisation, poetry and music, rap and
free, while in the USA his poem, recited so passionately in Italian and English
met immediately the interest of the public and the living community of musicians who resides in New York.
She, on the stage, sudden verses Mentra
everything takes shape with the saxophonist's solos or excited collective
moments. The percussionist and vibraphonist (he studied with Karl Berger) is
very interesting to create moments liquids into which the music flows without
hesitation. If the bop was the soundtrack of the novels of Jack Kerouac Dagnino
here is to give expression and voice direction to that which is the music of
three improvisers of the big apple. The final improvisation closes a record in
which the literary arts and music are a perfect meeting point, echo the
contemporary. An echo that will hopefully bounce arrivals in Italy.
Vittorio
Loconte, Musiczoom, September 2013
L´arte poetica e quella musicale da tempo flirtano insieme con risultati
spesso interessanti. Qualche volta è la poesia che subisce la trasformazione
maggiore mutandosi nei versi di una pop song, oppure come qui, mantiene la
propria identità ed i versi vengono recitati con ardore in mezzo alle
improvvisazioni dei musicisti. Erika Dagnino non la scopriamo certo ora. La
poetessa genovese da tempo scrive testi ricchi di immaginazione che raccontano
di sensazioni in parole che si rincorrono a descrivere in modo inedito storie
il cui svolgimento è imprevedibile. Ad accompagnarla in un club di New York ci
sono tre improvvisatori: il sassofonista e flautista Ras Moshe, Ken Filiano al
contrabbasso e il percussionista e vibrafonista John Pietaro. In Europa manca
un interesse reale per queste forme di improvvisazione, versi e musica, rap e
free, mentre in USA la sua poesia, recitata così appassionatamente in italiano
ed in inglese ha incontrato subito l´interesse del pubblico e della viva comunità di musicisti che risiede a New York. Lei, sul palco, improvvisa dei
versi mentra il tutto prende forma con assoli del sassofonista o concitati
momenti collettivi. Il percussionista e vibrafonista (ha studiato con Karl
Berger) è molto interessante a creare momenti liquidi in cui la musica scorre
senza remore. Se il bop era stato la colonna sonora dei romanzi di Jack Kerouac
qui è la Dagnino a dare espressione e direzione vocale a quella che è la musica
di tre improvvisatori della big apple. L´improvvisazione finale chiude un disco
in cui le arti letteraria e musicale trovano un punto di incontro perfetto, eco
della contemporaneità. Un eco che si spera arrivi di rimbalzo anche in Italia.
Vittorio Loconte, Musiczoom, September 2013
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