Racconti dell'ombra
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un' inscindibile unione. E l' attenzione di Erika Dagnino in questi due racconti si concentra su personaggi alla ricerca di definire lo «scarto tra se stess[i] e la [loro] ombra», tra «la natura della musica e quella dell' immateriale che viene evocato». «Il limite della possibilità individuale» dell’immateriale che proprio all'esterno di questi orli, che si afferrano con la mente, ma che non possono essere circoscritti. In questi recessi oscuri i «fatti inizia[no] ad annebbiarsi», resta la vita con il suo mistero inaccessibile in gran parte
alla mente: il mare ed un cucchiaio.
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..l'Autrice piega le dinamiche spazio-temporali dei suoi scritti, alla sua lungimiranza certosina, coniugando psicologismo, tecnica, indagine e tolleranza molto ampia della rielaborazione filosofica dei concetti di umanità, intellettualità, anima e umano sentire.
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Quello che viene fuori è un libro dal significato profondo...dove a dominare sono i sensi, grazie ai quali la realtà circostante, costantemente indagata nella sua alternanza di luminosità e ombre, può essere percepita in tutte
le sue sfumature.
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La scrittura della Dagnino assomiglia alla musica, o meglio a tipi di musica cui non siamo abituati e non perché dissonanti o stonati, ma perché richiedono, per essere ascoltati, un orecchio diverso. Pensiamo ad esempio la sintesi granulare, dove ogni suono ha una sua precisa funzione, ma solo tutti insieme, ognuno nel suo specifico tempo, producono un suono collettivo più grande, che solo l’intero ci permette di riconoscere.
Alessio Pracanica, Lipari.biz, 07 aprile 2009 (leggi recensione)
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“ L'autrice è abile, coniuga sapientemente musicalità e armonia della parola che diviene nitido specchio dell' istinto”
Grazia Calanna, L'EstroVerso, Marzo Aprile 2009 (leggi recensione )
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Erika Dagnino, piacevole
confusione
Una consapevole sovrapposizione
di piani narrativi, la confusione dei personaggi, la stratificazione
linguistica sono i dati ricorrenti nel lavoro della genovese Erika Dagnino,
che dopo Ru e Fro pubblica ora Racconti dell´ombra, entrambi per Csa
Editrice. Labile, piuttosto, il confine tra la prosa e la poesia, che l´autrice
percorre in un senso e nell´altro di frequente, offrendo così una
scrittura piena e di materiali linguistici e di contenuti, nella
ridondanza descrittiva di un contesto esplicitamente surreale:
"Stavano ora camminando fianco a fianco con incredulità solo del
signor Qorhà: senza essersene reso conto aveva dunque aperto la porta,
sceso le scale, aperto il portone, e prima ancora di tutto questo infilato
i vestiti del giorno precedente identici a quelli dell´altro, per maggior
correttezza si invertono i termini, erano gli abiti dell´altro identici
ai suoi". Un fraseggio che punta all´indeterminazione in questo caso
nel confronto tra corpo e ombra già presente in Ru e Fro:
"Dato che erano stati separati diverse ore, le ore non erano state
poche, e in una di queste ore, magari poco prima o molto prima, a Ru
(perché a Fro questo non accadeva mai, o accadeva talvolta e solo per
motivazioni ignote, scontate ma anche non banali, si può comunque
affermare mai, così come quasi mai) venne un certo languore allo
stomaco...». Strano, in sintesi (e neanche tanto, se si pensa, a esempio,
a Gadda), divertente, appunto poetico, e molto. Stefano Bigazzi, la Repubblica Fri, 13 Mar 2009 Pagina XIX - Genova
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La
convivenza con la propria ombra e le istruzioni per possibili
emancipazioni, liberazioni o affrancamenti dalla reciproca compagnia.
Muovono da qui i due racconti lunghi che compongono il volume. Non si
sottovaluti l’impresa che è degna di eroi, come però questi possono
manifestarsi in un tempo come il nostro fuori dal mito: figure dai gesti
misurati, mai sopra le righe, di modesta presenza, posseduti da discrete
ossessioni, ma che dell’eroe di altre epiche sembrano conservare intatta
una certa innocenza di fondo. Prendiamo il signor Qorhà, protagonista del
primo racconto: “Ciò che lo assillava era l’ombra in quanto lato”.
Dedito all’osservazione della propria ombra, radiografandone i movimenti
nell’arco della giornata, per studiarne le variazioni in funzione delle
luci differenti del giorno e della sera, il signor Qorhà cerca di
penetrare la natura intima di quell’angolo al tempo stesso inevitabile e
imperscrutabile. Il frutto delle sue riflessioni sfocia in una serie di
appunti sull’invisibile in musica. All’eroe però si addice il
viaggio, e così anche il signor Qorhà si avventura fuori città per
arricchire le sue osservazioni con nuovi punti di vista, ma l’impresa
viene turbata da uno strano incontro. Si riforma qui quel genere di coppia
no gender che avevamo già incontrato in Ru e Fro (vedi Quaderni D’Altri
Tempi n.XV), che predilige avventurarsi in giri intorno a se stessi, alla
propria stanza, o dietro l’angolo di casa, oppure qualche isolato più
in là, come viaggiatori illustri in tal senso ci hanno insegnato, a
partire da Xavier de Maistre. Coppia che si sdoppia e si raddoppia anche
nel secondo racconto, Scèd e Grài, resoconto di separazioni e
ricongiungimenti con le proprie ombre. Singolare quartetto protagonista di
vicende in apparenza senza accadimenti, ma al termine della loro quest
anche Scèd e Grài,
si ritroveranno inspiegabilmente in una condizione nuova. Forse. Gennaro Fucile,Quaderni D’Altri Tempi n.XVI, novembre/dicembre 2008
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